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Riva del Garda
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La "Cascata del Varone" di Riva del Garda
fonte di ispirazione letteraria
Riva del Garda - 24 - 09 - 2005
Oggi
Donatella è venuta a trovarmi ad Arco, dove
risiedo per due settimane per il terzo ciclo
di riabilitazione cardiologica, e nel
pomeriggio libero, decidiamo di andare a
fare una capatina alle Cascate del Varone,
un autentica attrattiva per i turisti che
villeggiano sul lago di Garda. E' una gran
bella giornatoa di sole e in dieci minuti di
macchina siamo |
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subito alla biglietteria. E'
consigliato indossare una giacca plastificata, per
ripararsi dagli spruzzi che quì sono mumerosi, si tratta
sempre di una cascata d'acqua che fà un bel balzo
all'interno di una montagna prima di cadere nel letto di un
fiume a valle. La temperatura quì, qualsiasi sia quella
esterna, è bassina ed è consigliato un equipaggiamento
adeguato. Consiglio a tutti una capatina perchè il prezzo
del biglietto è ampiamento giustificato dallo spettacolo a
cui si assiste. Poi se avanza tempo consiglio una capatina
all'agritur lì vicino dove è possibile mangiare cibi
Trentini genuini e primo fra tutti la gustosissima carne
salada.
Donatella All'ingresso delle Cascate del Varone |
Il 20 giugno 1874 le
vie di Riva del Garda, addobbate a festa, erano percorse da una insolita
animazione, e l'occasione non era un motivo da poco: alla presenza del re di
Sassonia Giovanni e del principe Nicola di Montenegro il podestà della
città, dottor Vincenzo Colò, aveva aperto al pubblico una delle più
suggestive e impressionanti attrattive naturali del Garda trentino: la
grotta della "Cascata del Varone". Fu un avvenimento di rilevante portata
turistica, perchè da quel momento e nei decenni successivi la visita alla
cascata divenne un elemento qualificante delle più significative
manifestazioni rivane. Se si trattava di accogliere ospiti particolari, come
le nutrite compagnie di soci del CAI, o gli sportivi partecipanti alle
"maratone podistiche" tanto in voga a quel tempo nel circondario rivano, o
gruppi di tecnici, di medici o di giornalisti in visita al Garda, una gita
all"orrido" era immancabilmente prevista. Sono i cronisti dell'epoca,
impegnati a fornire con dovizia di particolari una attenta trascrizione
degli avvenimenti quotidiani, a tramandarci l'atmosfera festaiola che
accompagnava, con profusione di fiori e di manifesti di benvenuto, l'arrivo
di questi visitatori che, giungendo per lo più dal "Regno", finivano per
alimentare i fermenti irredentistici notoriamente vivi e sentiti nella
cittadina gardesana. La gita pertanto, più che esaurirsi nell'esplorazione
della meraviglia naturale, assumeva l'aspetto significativo di un omaggio
della cittadinanza ad ospiti particolarmente graditi. Ovviamente la
rinomanza dell'affascinante forra, dotata -dopo l'avvento dell'illuminazione
elettrica a Riva (1895) - di lampade ad arco della forza di 100 candele
ciascuna, in parte colorate in rosso, che la illuminavano convenientemente
accrescendone la suggestione, non poteva non attirare anche quegli ospiti
che, per essere giunti nel Garda trentino in forma privata, non erano
oggetto di pubbliche attenzioni, si trattasse di italiani o di stranieri. I
letterati spesso e volentieri,
Cliccando sulle miniature si ottengono le stesse
ingrandite
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esprimevano la
loro ammirazione in
estemporanee performances poetiche, o trovavano lo
spunto e l'ispirazione per l'ambientazione di trame
narrative. Così dobbiamo ricordare i versi di Andrea
Maffei, di Alfonso Toss e di Francesco Ramazzini,
riportati dal Brentari nella sua Guida del
Trentino, a quelli
giovanili del rivano Eugenio Zaniboni, il traduttore
dell' Italienische Reise di Goethe; mentre inserite nel
contesto della grande narrativa europea risultano le
descrizioni che della "cascata" ci hanno lasciato
i fratelli Heinrich e Thomas Mann. Heinrich vi fa
giungere, in un drammatico epilogo, i protagonisti del
suo romanzo Die Jagd nach Liebe (Caccia all'amore;
1903) e Thomas introduce gli appunti ricavati da una
visita alla cascata rivana in uno dei suoi romanzi più
celebrati: Der Zauberberg (La montagna incantata).
Una circostanza, questa, che non costituisce solo una
curiosità letteraria,
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ma
che è anche emblematica delle abitudini
dello scrittore nella ricerca delle
fonti e nell'elaborazione dei suoi
romanzi, abitudini che lo inducevano a
servirsi di appunti annotati in appositi
Notizbilcher (taccuini) anche a
distanza di decine d'anni. Nella
fattispecie corre infatti quasi un
quarto di secolo tra le note scritte sul
taccuino (il Notizbuch 7) durante
una visita alla "Cascata del Varone"
(1901) e la loro utilizzazione (1924) ne
La montagna incantata, il romanzo che
avrebbe contribuito a fruttare al suo
autore, nel 1929, il premio Nobel.
Thomas Mann era stato a Riva quattro
volte, tra il 1901 and il 1904, ed ogni
volta aveva alloggiato al "Sanatorium
von Hartungen" (lo stesso che
avrebbe accolto Kafka nel 1913 e che
sarebbe divenuto, dopo il primo
conflitto mondiale, La "Colonia
Infantile Provinciale |
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Miralago").
Vi era giunto attratto dal carattere igienistico e
naturalistico dei trattamenti terapeutici che vi si
praticavano, e favorito dall'amicizia del fratello
Heinrich per i medici che lo gestivano. Di questi
soggiorni, mirati al recupero delle forze esaurite dal
lungo impegno letterario, quello che comprende la visita
alla "Cascata del Varone" è il secondo del 1901,
del novembre-dicembre di quell'anno. Nel 1924 Thomas si
serve degli appunti di quella visita usando le stesse
frasi, le stesse parole annotate nel taccuino, per
descrivere l'immaginaria cascata di Fluelatal che
compare alla fine de La montagna incantata, nel capitolo
che si conclude con il suicidio di Mynheer Peeperkorn.
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