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L'asparago di Zambana Vecchia

 

 

L'asparago alla corte di re Giorgio

 

C'è un locale in Trentino che durante i mesi di aprile e maggio assurge ad una sorta di paradiso del buongustaio. Non che nel resto dell'anno non vi sia attenzione alla ricerca delle materie prime, ma all'inizio della primavera il "Ristorante da Giorgio", a metà strada tra Zambana paese ed il vecchio insediamento, spara le proprie cartucce migliori, ovvero gli asparagi. Zambana

è situata sotto i dirupi della Pagamella. Di qui una volta partiva la funivia per Fai, attraverso la Val Manara. Ma nel 1955 il paese dovette essere evacuato perchè da sommo ciglio della montagna un enorme blocco di roccia minacciava di staccarsi e di precipitare sul paese. Infatti questo blocco fu fatto crollare artificialmente e metà del paese scomparve sotto cumuli di macerie alte diversi metri. Per gli abitanti rimasti furono costruite case nuove in vicinanza di Lavis e in questa "Zambana Nuova", vivono oggi circa 1400 persone. Ora in questo paese c'è un ristorante rinnovato, e i preziosi vegetali vengono proposti in un'infinità di modi, prendendo le mosse dalla bontà della materia prima. Si deve dire subito che la coltivazione dell'asparago bianco in Trentino ha una lunga tradizione. Le zone tipiche di produzione sono sempre state le aree limitrofe al fiume Adige, a nord e a sud di Trento, soprattutto Zambana, Nave San Rocco, San Michele all'Adige, Aldeno e Romagnano. I terreni sabbiosi sono ideali perché consentono un veloce riscaldamento del terreno e soprattutto un buon drenaggio. Il periodo di raccolta va dalla fine di marzo a metà maggio. Molti degli asparagi che si acquistano lungo l'asta dell'Adige provengono dalla coltivazione realizzata sulle "golene", termine con cui si indicano le fasce di terreno situate dall'argine al letto della corrente del fiume. E così l'accomodarsi nella sala da pranzo del ristorante, apparecchiata con tovaglie gialle ed ingentilita con fiori freschi ad ogni tavolo è d'obbligo se ci si trova a passare da queste parti. I gestori sanno bene che in questo periodo il locale gode di una grande attenzione per la particolarità dell'offerta e quindi fanno di tutto per non deludere i ghiottoni che affollano sempre la sala. All'antipasto gli asparagi vengono offerti crudi, in insalata, oppure in una triplice veste: impanati, al burro fuso o al pomodoro. E solo l'inizio per un'abbuffata a base dello sfizioso piatto: si può proseguire a ruota libera con l'asparago proposto in zuppa, come risotto. Buoni anche il rotolo o le crespelle, senza dimenticare i cannelloni, tutti piatti di cui non occorre specificare il ripieno. Dieci i modi in cui gli asparagi vengono proposti come secondo piatto. L'elenco? Tutto da far venire l'acquolina in bocca: con le uova, sode e nella classica salsa bolzanina, al burro fuso e parmigiano. O ancora più sapidi con il gorgonzola. Avanti con asparagi alla Bismark, Primavera, alla Veneziana, al Teroldego, al vino bianco. Poi, siccome gli asparagi, pur ottimi, non sono vero e proprio companatico, chi non ha problemi di linea può optare per piatti di carne e di pesce, tra cui in questi giorni il capretto al forno servito con una polenta nera di Storo che, da sola, apre la valvola dei ricordi e dei sapori sempre più difficili da trovare. Tramontata la stagione degli asparagi il locale nel resto dell'anno punta le proprie carte sulla cucina trentina, quella vera: con il Tortel di Patate ed il Tortel di Verdure. Con le ricette classiche a base di polenta, funghi e selvaggina o con proposte sempre più rare da trovare come le Rane, le Lumache. Pagina a parte quella spesa per il Baccalà. Morale: servizio gentile, proposta non comune valgono la pena di una deviazione all'interno dalla statale del Brennero. Sui 50 euro. Da Giorgio, Zambana vecchia. Tel.per prenotazione - 0461-245300
 

A Zambana, il piatto pasquale per eccellenza

 

Capretti ed agnelli, finiscono nelle mense di milioni di buongustai in questo periodo. Il capretto al forno è un piatto fintamente povero e abbastanza difficile da fare. Essenziale in primo luogo è la scelta della materia prima visto che, una volta cucinata, la carne che rimane non è sempre tantissima. In poche parole lo si deve scegliere bene e cucinare ancora meglio. Qui lo fanno molto buono e su prenotazione. Gli Chef locali suggeriscono di prepararlo così: prendere un chilogrammo di capretto, dose per quattro persone e farlo rosolare per bene con l'aggiunta di brodo vegetale. Quindi infornare a 180 gradi e di tanto in tanto bagnare il capretto con il proprio sugo. L'ideale sarebbe quello di servirlo in tavola con della polenta nera di Storo o con delle verdure cotte. Il tutto da abbinare ad un bicchiere di vino rosso. Una pietanza tutto in grado di offrire ottime soddisfazioni se è ben preparata.


 

Castelbello

Al Kuppelrain una cupola
voluttuosa
 

 

La bella cupoletta moresca svetta con l'agilità di sempre sul tetto della locanda fondata oltre un secolo fa di fronte alla rocca di Castelbello. Poco o nulla è cambiato nella facciata del Kuppelrain che per decenni ha accompagnato il ritmo sempre uguale della gente di questo paese di montagna. A cento metri circa, inavvertibile 

scorre il traffico per l'alta Val Venosta e la non lontana Svizzera mentre, poco più vicino, promette di riprendere vita, fra pochi anni, la gloriosa linea ferroviaria. Se all'esterno di questa casa, dal tenue stile Liberty, il tempo sembra aver intaccato ben poco le cose e i ritmi, ben diverso è il discorso che riguarda il ristorante cresciuto tra le sue mura. Da quando, quindici anni fa, due giovani venostani, Jörg e Sonia Trafoier, lo presero in carico le cose sono parecchio cambiate. La lingua d'osteria, tanto a lungo parlata, si è lentamente, ma inesorabilmente, trasformata in lessico d'alta cucina. Numerosi riconoscimenti ne hanno certificato il successo, ma la filosofia che ne ha caratterizzato la crescita, non ne é stata intacca. Alla base della ristorazione del Kuppelrain rimane, infatti, una attenta valorizzazione del patrimonio agro alimentare della valle e una intelligente spinta creativa. Fiori, erbe e frutti di montagna vengono abilmente lavorati ed esaltati in golose combinazioni con carni locali e pesci di mare. Crostacei e frutti di mare vengono elaborati con fumanti creme di cereali e legumi altoatesini Il tutto eseguito con buona tecnica da Jorg e serviti con femminile grazia da Sonia. Il locale da poco ristrutturato ha acquistato in eleganza ma ha forse perso un po' in calore. Sempre

Castelbello

magnifica é, invece la dispensa, ricca di vini e di ogni genere di conserva fatta in casa, assolutamente da visitare. Da poco Jörg é divenuto delegato per l'alto Adige degli Jeunes restaurateurs d'Europe e il ristorante ha dato il nome grazie alla vena letteraria di Sonia ad un bel volumetto di ricette che promette di svelare i "Segreti della Val Venosta". In questi giorni sui tavoli del

Kuppelrain non poteva che essere di scena la primavera. Oltre ad aceti e succhi profumati di fiori ed erbe si spende generosamente la crema di aglio orsino e cominciano a troneggiare nei piatti i particolarissimi asparagi di Castelbello. Se il menù degustazione ai sapori della tradizione (46 euro) dispone petto e coscetta di quaglia con insalata di patate e dente di leone, punte d'asparagi e cips di rape rosse in abbinamento ad un bicchiere di Gewürztraminer, dialogo di brodo e crema d'asparagi. Ma anche pappardelle di farro al ragù di coniglio e spugnole su salsa di carote quello creativo si sbizzarrisce tra pesce e carne. Ed ecco quindi trota affumicata in gelatina di Traminer aromatico con punte di asparagi. Crema di ortica con capasanta. Ravioli di cacao ripieni di fegato grasso d'oca su mousse di mela e infine carrè di agnello nostrano con code di scampi su salsa di tonno in abbinamento ad un Vintage Tunina. Da provare infine il guanciale di vitello in salsa al vino rosso con polenta d'asparagi. Formaggio venostano di malga oppure fantasia di sorbetti e finale in dolcezza per chiudere più che degnamente. Per gli amanti del pesce ecco un paio di proposte: cappasanta arrostita con lardo, gamberone e sardina fritta con pomodoro, crema di patate bianche e nere con polipo oppure risotto al fiore di dente di leone, cime di ortiche con filetto di triglia. Notevole la carta dei vini e dei distillati.
 

Come arrivare - In macchina:

Da sud/ nord:
 
Autostrada A22 del Brennero
  uscita al casello Bolzano Sud
  superstrada (MEBO) fino a Merano
  statale SS38 fino Castelbello - Val Venosta.

 

Da est (A):
  statale SS49 della Val Pusteria fino a Bressanone
 
Autostrada A22 del Brennero
  uscita al casello Bolzano Sud
  superstrada (MEBO) fino a Merano
  statale SS38 fino Castelbello - Val Venosta
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Un piatto sopra tutti
 

 Insalalata di asparagi, patate e denti di leone


Occorre un chilogrammo di asparagi sbucciati di Castelbello. 200 grammi di dente di leone pulito e tagliato fine (magari raccolto durante una passeggiata in campagna ), olio extravergine di oliva, sale e pepe, aceto di mela, ma anche qualche bocciolo di fiordaliso, i fiori del dente di leone e alcune foglie di basilico e l'erba cipollina. Tagliare gli asparagi a listelli di due centimetri e farli sbollentare leggermente. Aggiungerli all'insalata e alle patate lessate e tagliate a fettine. Condire il tutto con olio, aceto, sale e pepe guarnire l'insalata delicata con i fiori. Le patate in stagione possono essere sostituite validamente anche dai finferli ( funghi ) leggermente trifolati. Un vino bianco non troppo corposo è l'accompagnamento ideale per esaltare, senza umiliare, il sapore dell'insalata. Ma a decidere è sempre il gusto personale.

 

 

Se vi trovate da queste parti dovete proprio fermarvi almeno un attimo alla chiesetta

La Chiesetta

La chiesetta di Ruffrè

 

 Dedicata a Sant'Antonio abate fu consacrata il 5 maggio 1403
Una chiesa di 600 anni
Tra i donatori anche la principessa Sissi

 

Ieri la chiesa parrocchiale di Ruffré ha compiuto 600 anni. Dedicata a sant'Antonio abate, protettore delle stalle e degli animali domestici, è stata consacrata il 5 maggio 1403 dal vescovo ausiliare Vitale, suffraganeo del principe vescovo di Trento Giorgio 1º. Rimessa a nuovo con un cospicuo investimento della Provincia e della Parrocchia, la chiesa in questi sei secoli ha vissuto varie vicende. Quest'anno è un anno di memoria per Ruffré e la Mendola essendo anche il centenario della costruzione della funicolare Caldaro-Mendola

inaugurata il 19 ottobre 1903 come punto di contatto tra la ferrovia elettrica Dermulo-Mendola (che arriverà al passo sei anni più tardi, nel 1909 e terminerà le corse nel 1933) e la Bolzano-Caldaro, smantellata nel secondo dopoguerra. Nel 1400, quando venne edificata la chiesa di Sant'Antonio, anche la comunità di Ruffré, come gran parte dell'Alta Anaunia, dipendeva dalla Pieve di San Lorenzo a Sardonico, e nel 1579 ospitava già due altari dedicati ai due patroni del paese, Sant'Antonio e Santa Caterina. Il tempio originale era stato arricchito, nel 1526, con il campanile alto 20 metri, opera del maestro "murar" Stefano a Termeno. Le campane risalgono ad un periodo tra il 1520 e il 1550 ed in origine erano quattro, poi due vennero fuse durante la Grande Guerra. Le due sopravvissute, opera di campanari tedeschi, portano impresse rispettivamente la data 1520 e 1550. Altro ampliamento risale al 1865 richiesto dal curato dell'epoca, don Ignazio Onestinghel, che in un documento del 17 giugno scrive: "Per l'aumento continuo di questo popolo è di assoluta necessità l'ingrandimento di questa chiesa. Grazie alla collaborazione di molti pii devoti il parroco don Ignazio riuscì a procurasi 500 fiorini d'argento dalla LL.MM Ferdinando 1º e Maria Anna". L'opera venne poi approvata dal Comune con un benestare descritto in un atto del 4 agosto 1878 in cui si elencano anche le modalità di finanziamento. Tra le offerte spontanee di persone benestanti viene menzionata con riconoscenza la "nostra augusta imperatrice Elisabella Sissi che ha donato 50 fiorini". I lavori iniziarono l'anno dopo e il 12 settembre 1885 la chiesa fu consacrata dal vescovo Giovanni Delle Bona. Dopo altri lavori nell'estate 2002 la parrocchiale è tornata alle origini grazie all'impegno di Parrocchia e Comune. Durante i lavori, nella zona del presbiterio sono venuti alla luce vecchi affreschi risalenti al 1500, che devono essere restaurati. Solo dopo questi interventi ci sarà la festa per i sei secoli della chiesa.



Civezzano invece è quì vicino a Trento, tanto vicino che ci potreste  andare in bici

Al Cantanghel
una scuola
di tradizione

 

Civezzano (469 m s.l.m) si trova a 7 Km da Trento, a nord-est della città, sulla sponda destra del torrente Ferina ed occupa parte dell'altopiano del Calisio orientale. Conta ben 26 paesini, sparsi su una zona in parte collinosa e in parte di montagna. Il comune è noto per il Lago di Santa Colomba (una volta chiamato anche Lago Santo), un delizioso specchio d'acqua circondato da belle pinete e popolato da numerose specie di pesci. La Peive di Santa Maria Assunta è la chiesa parrocchiale del borgo ed è considerata una delle più belle chiese del Trentino: molto antica, contiene i notevoli affreschi del Bassano. Gli altri edifici artistici della zona sono: Castel Telvana, sede degli uffici comunali, la settecentesca Villa Ranzi, la Torre dei Canopi. Sulla antica strada romana il forte austroungarico ospita una cantina vinicola privata. Civezzano diede i natali a due illustri medici di fama europea: il dott. Gianbattista Borsieri e l'illustre medico trentino Giulio Alessandrini, che dedicò tutta la vita alle scienze mediche, ma si occupò anche di matematica, geometria e a diverse discipline umanistiche. Fu medico ricercatissimo durante il Concilio di Trento. qui comunque siamo a parlare di Lucia Gius, la proprietaria della trattoria Maso Cantanghel. Non parlare prima della sua famiglia sarebbe un grave errore. La Famiglia Gius è stata un delle più importanti famiglie, per quanto riguarda la ristorazione storica del trentino, la trattoria Port'Aquila ha rappresentato, fino a che non è stata rilevata dalla Provincia Autonoma di Trento, il punto di riferimento per la cucina trentina. La vera "Osteria" dove ogni giorno si potevano gustare i piatti, semplici, ma gustosi, della tradizione, dai classici canederli asciutti o in brodo, agli strangolapreti, fino a terminare con il più classico dei dolci trentini, la torta di fregoloti. E' stata inoltre per molti, scuola d'apprendistato per giovani cuochi, quando non esistevano ancora le scuole professionali di cucina, per capire, conoscere, imparare e poi diffondere la cucina trentina.
Maso Cantanghel, una bellissima casa colonica, a pochi passi dal forte di Civezzano che a metà dell'ottocento gli Austriaci avevano fatto edificare per la difesa della Città di Trento, e poi rafforzato poco prima dell'entrata in guerra con l'Italia nel 1914, domina la strettoia del torrente Fersina e di fronte si vedono le ultime propaggini di Oltrecastello di Povo. Un grande cippo ottocentesco a poca distanza segnava un tempo il confine tra il distretto giudiziario di Trento e quello di Civezzano. Da ricordare inoltre che quelle zone un tempo soprattutto all'epoca del Concilio di Trento, erano frequentate dai padri conciliari che hanno lasciato numerose vestigia di questo splendido passato, inoltre le vicine cave di pietra rossa e le miniere di argento del Calisio ne aumentavano l'importanza. Una posizione, quella di Maso Cantanghel, che invita alla tranquillità e alla serenità, come magistralmente poi interpreta in cucina, Lucia Gius, nella sua trattoria. I piatti offerti in degustazione sono fissi, anche se volendo si possono fare delle piccole varianti, questa modalità, permette di offrire sempre piatti molto curati, anche se di contro la scelta è presso che inesistente, ma di questi tempi, dove la maggior parte di noi è felice che altri scelgano per noi togliendoci dall'imbarazzo, riproduce il clima di casa, una elegante e raffinata casa. L'interno della trattoria è curato nei minimi dettagli, dalle tavole imbandite con tovaglie di lino e posate d'argento, alla scelta dei bicchieri, per l'acqua e il vino, compreso l'arredo e la scelta dei mobili. L'ingresso, diretto in cucina, scesi pochi gradini di una comoda scala offre il tono della calda accoglienza, prettamente casalinga e ti mette a tuo agio. I piatti che noi abbiamo assaggiato sono: dei fiori di zucca ripieni di ricotta e zucchine su letto di pomodoro fresco, del carpaccio di carne "salada" con polenta e insalata di cavolo cappuccio, degli gnocchi verdi di biete, strangolapreti, con piselli freschi, del pollo al tegame con carote e purea di patate, e per finire uno stupendo, come al solito, gelato di nocciola con cosparso di cacao amaro. Il caffè accompagnato dalla piccola pasticceria chiudeva il pranzo. La scelta dei vini in carta, non è particolarmente ampia, ma sufficiente, per spaziare non solo tra i vini regionali ma anche tra quelli nazionali e internazionali. Il costo del pasto, sopradescritto, vini esclusi ammonta a 31 euro, e vista la qualità del cibo proposto, sono ben spesi. Maso Cantanghel, Via Madonnina 33, (Tel-0461-858714). Chiuso Sabato e domenica Ferie due settimane a Natale, a Pasqua e in Agosto Carte di credito Carta Si e American Express.
 

La ricetta consigliata è : "Strangolapreti"


Ingredienti: 4 spacattine (rafferme, poi tostate e infine grattugiate), 2 etti di biete, un pugnetto di: prezzemolo, sedano,foglia di rafano, 4 rondelle di porro, 3 uova intere, mezzo litro di latte, 2 cucchiai di farina bianca, sale. Per la salsa: 100 grammi di burro, 1 bicchiere di verdure frullate e salate.
Preparazione: In una ciotola porre il pane grattugiato, poi inserire le uova e salarle. Frullare le verdure assieme al latte e mischiarle al composto. Mescolare bene e controllatene la consistenza, se risultano troppo morbidi, correggere con la farina. In un tegame di brodo di verdure, bollente, versare, ad uno ad uno,gli gnocchi, dandogli la forma con un cucchiaio. Lasciare bollire per 10 minuti, nel brodo di verdure, quindi scolare e servire subito con la salsa e il parmigiano grattugiato.
 

 

 

La Fava

 

La rava, e soprattutto, la fava, piatto molto goloso. Segreti e virtù di un legume spesso sottovalutato, ma dai pregi sconosciuti.

 

Tra i legumi di più antico consumo in Europa un posto preminente lo ha sicuramente la fava. Portata nelle valli ladine quasi certamente dai romani che ne facevano gran uso la fava ha rappresentato nei millenni una delle principali fonti di alimentazione delle popolazioni alpine.

Il baccello, oltre che fresco si usava anche macinato nel pane e nelle polente assieme ad altri cereali. Dopo la scoperta dell'america con l'avvento del fagiolo la sua posizione perse quasi ovunque di importanza, ma non nelle valli ladine laddove l'altitudine non permetteva la sua coltivazione. Così la fava restò, fin quasi ai giorni nostri, l'unico, incontrastato legume della cucina ladina. Si consumava fresca, cotta o cruda, oppure secca (fatta rinvenire dopo una notte in ammollo), sgranata e spesso liberata anche dalla buccia di ogni singolo seme. L'antica diffusione era, ed è oggi ancora in parte, testimoniato dai faver, impalcature lignee destinate all'essiccazione, o dalle arfe poste nel punto più ventoso dell'abitazione e destinate anch'esse all'essiccazione della fava e segno di distinzione delle famiglie.
Innumerevoli gli usi in cucina. La minestra di fave era chiamata favada: per prepararla si bollivano le fave nel laviez per l'intera mattinata, si aggiungeva un pò di lardo fritto o un osso di maiale o una cotica. Alla fine si mettevano nel calderone le lasagnette o i papzuoi cioè gnocchetti o grumi fatti con farina e acqua. La fava era presente su tutti i versanti della terra ladina. A Cortina, per esempio la minestra di fave era chiamata favariesa, mentre a colle santa Lucia si preparava la basana lessando i baccelli interi in acqua e sale assieme alle patate. Era piatto di lusso per la Madonna d'Agosto. Con la farina di fave si preparava, invece, la zufa (diverse le varianti secondo le vallate) una farinata col latte e l'orzo, oppure il granturco condita con un pezzetto di burro e cosparsa alla fine di zigar, ricotta fatta col siero di zangola. Laddove il granturco non cresceva o il frumento era scarso, la farina di fava serviva soprattutto per il pane che si preparava due volte l'anno con la fava, la segale e l'orzo.
 

 

ISERA

Alla scoperta del Fojaneghe,
un bordolese importato
dal conte Bossi Fedrigotti

Il più noto tra i vini trentini è il Fojaneghe, il primo uvaggio bordolese, apparso nel panorama enologico della Provincia. Ad essere sinceri questo primato se lo disputa con il Castel San Michele, l'analogo rosso creato dall' Istituto Agrario, ma quello che si è maggiormente diffuso sul mercato è il Fojaneghe, da qui il primato. Fu merito del Conte Federico, che voleva porsi in una nuova dimensione, tra le cantine trentine, ma soprattutto dell'enologo Leonello Letrari che materialmente lo creò e lo diffuse sul mercato. La cantina dei Conti Bossi Fedrigotti, una delle poche cantine storiche del trentino, è nata alla fine del diciottesimo secolo, per merito di una donna, che prese in mano le redini dell'Azienda Agricola, fino a quel momento vendeva solamente le uve prodotte nelle loro campagne, e volle far nascere una cantina in modo da poter trasformare in Azienda le uve prodotte in vino. Da quel tempo la fama dei vini prodotti si diffuse fino a coprire tutto il territorio dell'Impero Asburgico, più tardi una nuova cantina divisa su due piani a Rovereto a Palazzo Fedrigotti, una vera e propria novità per l'epoca, tanto vero che Napoleone Buonaparte nel 1976 la visitò, non si sa se, attirato dalla bontà dei vini o per curiosità di visitare la nuova cantina. Ora la gestione della Azienda Agricola é di nuovo in mano a donne, le Contesse Isabella e Maria Josè Fedrigotti, una nuova scommessa per ridare ulteriore smalto ai vini e nuova dinamicità alla vita aziendale. Il vino di punta, non può non essere ancora il Fojaneghe rosso. Il nome deriva dalla tenuta di Fojaneghe nel comune catastale di Isera su terra ad alto contenuto basaltico, terreno ideale per uve come i cabernet ed il merlot. Il vino nasce in barrique (piccole botti di rovere da 225 litri) di legno francese con tostatura media dove rimane per circa un anno e subisce un ulteriore affinamento in bottiglia fino alla messa in vendita. Il Fojaneghe rosso 2000, si presenta di colore granato intenso, profumi netti di piccoli frutti, di cioccolato, al gusto leggermente tannico e ancora con note acerbe che denotano la giovinezza, deve ancora esprimere completamente la sua personalità, che tuttavia si intravedono le potenzialità e la sua tenuta futura.
Tra qualche anno, al culmine della sua completa maturazione, raggiunta l'auspicata morbidezza, rientrerà di forza nel suo rango. E' un vino che ben si presta ad accompagnare piatti di cacciagione o formaggi a pasta dura come il Vezzena. Altro vino di punta, il Marzemino, ma data la zona di appartenenza, sarebbe impensabile che l'Azienda Agricola Bossi Fedrigotti, non ne producesse.

 

TRENTO

Due Spade nel cuore
del goloso


 


In questo affascinante locale all'ombra della cattedrale del Duomo si faceva cucina già cinque secoli fa. Non è leggenda che la prima insegna dell'"Osteria alle Due Spade" sia datata 1545. Trento era centro della cristianità e del mondo occidentale. Ma moderna, anzi perfettamente agganciata al terzo millennio, è la proposta gastronomica di questo ristorante dalle pareti rivestite di cirmolo biondo e con una stufa in maiolica trentina del 1700. Entrate attraverso un fascinoso portoncino in legno e lasciatevi sedurre dagli otto tavoli apparecchiati con grande cura e sempre impreziositi da fiori freschi. In sala troverete ad accogliervi il competente patron Massimiliano Peterlana, che funge anche da sommelier (assieme a Raul), mentre la mamma Rita Vedana ha appeso i mestoli al chiodo (ma continua la sua supervisione discreta e appassionata). Ora in cucina comanda un giovane cuoco talentuoso, Federico Parolari, un roveretano che si è fatto ossa e cuore in una delle più celebrate "case" del Trentino per poi approdare, è notizia di non molte settimane, all'Osteria. Con lui in cucina un altro bravo giovane, Lorenzo Stelzer. Da una carta equilibrata, che offre la possibilità di scegliere (solo a pranzo) un piatto completo ed un contorno a prezzo prefissato, potrete assaggiare piatti di carne e di pesce ispirati soprattutto all'alternarsi delle stagioni, con pane e pasta rigorosamente fatti in casa, in questi ultimi tempi ancora più croccanti e profumati merito di Federico. Dal menù invernale abbiamo assaggiato del paté di fegato di vitello e pollo con i suoi crostini, ma chi vuole farsi solleticare il palato del pesce apprezzerà delle code di gamberi al vapore su purè di porri. Non banali, manieristici o stereotipati gli gnocchi al vero nero di seppia, da mettere in competizione con dei tagliolini ai frutti di mare e carciofi. Ancora pesce? Fresco, profumato, un piatto che non vi impedirà di alzarvi da tavola leggeri come piume: la scaloppa di luccio perca gratinato con carciofi su salsa al Marzemino, mentre per la carne segnaliamo un impeccabile (come cottura e bilanciamento di sapori) filetto di maialino cotto al forno in crosta di pistacchi. Per chi vuole assolutamente chiudere con dei formaggi la scelta, vasta, è affidata al carrello. La cantina è molto ben assortita, ospita 300 etichette di vini da tutto il mondo e c'è la possibilità di sceglierli anche al bicchiere. I dolci? Un accenno: goloso sformato di cioccolato su salsa alla vaniglia ed una fragrante bavarese alla pera su salda al cacao. L'osteria alle Due Spade è considerato dalle guide tra i primi 200 in Italia: la Guida d'Italia dell'Espresso l'ha premiata con un 14.5/20: valutazione che, in effetti, le permette di essere ancora il miglior locale cittadino e tra i primissimi in tutta la Regione. Nel ristorante conservano un documento trentino del 1500, scritto da mano anonima. Vi si legge: «L'antevigilia di Santa Lucia giunsi a Trento e all'albergo delle Due Spade smontai. Evvi un oste di buon aria, affabile e acconciante discreto, e s'egli non temesse la moglie, sarebbe miglior compagno ch'egli non è». L'affabilità ora è garantita, come la certezza di un servizio molto professionale senza mai essere invadente. Una sera di felicità in un grande ristorante vi costerà sui 50 euro, senza esagerare nella scelta del vino. Il ristorante è chiuso la domenica, il lunedì a mezzogiorno e due settimane in agosto. Accetta tutte le carte di credito ed è in via Don Rizzi 11 (0461/234343) a TRENTO.

 

 

Il piatto consigliato

Filetti di luccio perca gratinati ai carciofi su salsa al Marzemino.

 

Ingrediente per 4 persone: 4 filetti di luccio perca (250 gr. l'uno ben puliti), 1/4 litro di vino Marzemino, 4 cucchiai olio extra vergine, di oliva, 60 gr. burro, 1 spicchio di aglio, 2 foglie di salvia, q.b. sale e pepe, 1 foglia di alloro. Ingredienti per la gratinatura: 4 carciofi, q.b. pane vecchio grattuggiato, 1 cucchiaio di prezzemolo, 2 cucchiai Trentingrana, 3 cucchiai di latte, 1 cucchiaio di olio d'oliva all'aglio, q.b. sale e pepe. Procedimento: in una padella antiaderente, mettere l'olio e 1/3 del burro e rosolare i filetti di luccio perca precedentemente salati e pepati. Toglierli dalla padella e metterli su di una pirofila. Aggiungere a mantello i carciofi precedentemente cotti in padella. Disporre poi sopra i carciofi l'impasto ottenuto con gli ingredienti per la gratinatura. Passare al forno per 6 minuti a 190 gradi, intanto togliere dalla padella il condimento di cottura e deglassare con vino marzemino aggiustando si sale. Disporre i filetti e accompagnarli con la salsa. Non mi resta che augurare buon appetito e alla prossima mangiata.
 

 

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